Intervista ad Elisabeth Rochat de la Vallée su gentile concessione della rivista Shiatsu News.
Insegnare, un compito “autentico”
Il punto di vista classico di Elisabeth Rochat de la Vallée
di Fabrizio Bononomi e Fabrizia Berera
In una piacevole serata conviviale di inizio estate organizzata da Fabrizio Bonanomi, prima che l’afa milanese prendesse possesso della città, Elisabeth Rochat de la Vallée risponde ad alcune importanti domande riguardanti il suo insegnamento della medicina cinese,e più in generale sull’importante ruolo dell’insegnante quale tramite per la trasmissione del pensiero.
Fabrizia Berera, che la conosce da molti anni e che ha curato e tradotto tutte le sue opere apparse presso la jaca book, le ha raccolte e tradotte per noi.
Che senso ha per te Elisabeth aver ricevuto un insegnamento da una tradizione come quella cinese e a tua volta trasmetterlo?
Penso che quando si riceve un insegnamento sia che lo si riceva da un maestro, da un professore o da un libro bisogna che riguardi la vita, la vita che si sta vivendo.
Penso che debba essere qualcosa che scateni il nostro interesse, che risuoni con ciò che abbiamo nell’intimo e non qualcosa che venga dall’esterno; penso perciò che debba essere qualcosa che concerne la vita e certamente che ci riguardi come esseri viventi.
Sicuramente in un insegnamento tradizionale vi è qualcosa di interessante, qualcosa che può veicolare un significato e questo di generazione in generazione.
Potrebbero essere ad esempio dei testi a veicolare un senso che non sarà per forza lo stesso; per esempio un classico di medicina o il Tao Te King, Il Libro della Via e della Virtù, sono portatori di una saggezza, di un significato della vita che certamente non ha avuto la stessa risonanza e lo a.C. e sui Cinesi di oggi o su noi Occidentali.
Questi insegnamenti, nonostante le differenti condizioni di chi li ha ricevuti e di chi li ha trasmessi, restano tuttavia vivi anche per delle persone come noi che non si trovano nelle stesse condizioni e non appartengono alla stessa civiltà e questo perché vi è sempre una profondità del messaggio che è in risonanza con ciò che è e fa la vita.
Quali sono le condizioni per trasmettere correttamente un sapere tradizionale?
Quando trasmettiamo un insegnamento tradizionale ci deve essere un grande rispetto per la tradizione che si è ricevuta e che si trasmetterà.
Questo rispetto deve essere estremo perché concerne qualcosa che è stato “provato”, qualcosa che è giusto, che risuona. Però allo stesso tempo se non si fa altro che ripeterlo ci sarà qualcosa che diviene falso; infatti perché un testo, una tradizione restino vivi bisogna reinterpretare, reinventare.
Quindi, insegnando, bisogna restare fedeli al messaggio ricevuto ma nello stesso tempo rivisitarlo continuamente per farlo vivere.
Se ripeto meccanicamente delle nozioni questo non è vita; se le insegno dopo averle fatte mie usciranno non solo dalla mia bocca ma anche dal mio cuore nel modo in cui io le ho metabolizzate anno dopo anno, interiorizzate.
E questo non è contradditorio. Il messaggio che trasmettiamo deve nutrirsi della fedeltà, ma anche di ciò che questo messaggio ha donato a noi, ha insegnato a noi insieme ad altri insegnamenti.
Quando si è occidentali e si incontra la civiltà cinese ci si trova, infatti, come a un incrocio di insegnamenti: abbiamo la nostra tradizione e non possiamo sbarazzarcene perché ci nutre e ci sostiene, ma incontriamo pure la tradizione cinese con la sua ricchezza che può a sua volta sostenerci e nutrirci con ciò che ha di migliore.
Ci troviamo sempre a un crocevia di influenze diverse che ci toccano e che plasmano la maniera in cui noi riceviamo l’insegnamento che a nostra volta trasmetteremo.
Inoltre l’approccio ai testi tende sempre a cambiare in funzione dell’età; li vivremo in modo diverso, interiorizzeremo aspetti diversi.
Io stessa, ad esempio, non leggo il Tao Te King come lo leggevo dieci anni fa.
E questo accadde per tutti i libri che propongono saggezze ed insegnamenti fondamentali per la vita come ad esempio il Vangelo. Perché un insegnamento sia completo occorre viverlo.
Qualcuno non potrebbe a questo punto obiettare cheper trasmettere un insegnamento tradizionale bisogna essere obiettivi?
Che cosa vuol dire essere obiettivi?
Secondo la mia opinione si può comprendere un testo solamente se lo si coglie e lo si accoglie nell’intimo di noi stessi; lo posso comprendere unicamente se lo vivo.
Solo così c’è comprensione e in questo non può esserci serietà e rigore, un numero importante di conoscenze per una interpretazione che sarà per forza di cose scientificamente e storicamente erronea.
Ad esempio possiamo sapere che una battaglia è avvenuta in un certo anno, ma della stessa battaglia si possono ricostruire dei fatti che sono basati su un sapere che può essere meno oggettivo del fatto che 2 + fanno 4.
Riguardo a un sapere tradizionale lo si accosta e lo si può conoscere bene al fine di trasmetterlo, ma comunque non dobbiamo dimenticare che ci troviamo nel 21° secolo e insegniamo a delle persone che sono del 21° secolo e vivono nel 21° secolo.
Vi è un insegnamento che può essere storico – questo è il testo, questa è la traduzione, questa è l’etimologia, è stato scritto in questo anno - e poi si può andare oltre e trovare perché fu scritto e che cosa volesse dire, quali valori volesse trasmettere.
Così avviene per i testi di medicina cinese. Si rispetta ciò che è stato scritto e si cerca di capire come fare nostro questo insegnamento così prezioso e come poterci appropriare di questa visione del mondo che può essere molto utile oggi nel mondo in cui viviamo.
Che cosa pensi del modo con cui si insegna al giorno d’oggi?
L’insegnamento è fatto di nozioni, di conoscenze, di memoria, tutte necessarie per esprimere un pensiero. Gli anni di scuola e di università dovrebbero insegnarci come pensare.
Ma oltre a questo occorre poter essere sestessi di fronte a ogni insegnamento; questo significa guardare e capire che cosa questo messaggio apporti alla nostra vita. Penso che un certo numero di persone non si pongono neppure la domanda su dove si trovino e chi siano.
Insegnando, si dovrebbe far imparare a pensare e non a dare solo dati o informazioni certe.
Anche in matematicanon bisogna dare tutte le soluzioni.
Al giorno d’oggi a scuola di fronte ad alcune domande si è soliti ricercare le risposte in internet e questo è tutto.
Questo procedimento se è buono da una parte, perché insegna a ricercare delle informazioni, è deleterio dall’altro, perché non insegna a ragionare, non abitua al confronto, non rende capaci di scegliere, perché tutto è informazione e non un insegnamento che riguarda la vita.
Si discute, ma a che cosa serve discutere se non riguarda la realtà e ciò che è importante?
Come insegnano gli antichi saggi cinesi la filosofia non è discutere, ma è sapere dove va la vita; alcuni dicono che è il campo della religione.
Può essere che il limite trale due non sia poi così netto.Insegnare è anche stimolare, è saper suscitare delle domande personali e rispondere ad esse in modo personale ma nello stesso tempo non dicendo che cosa si debba fare o pensare.
Se la persona non fa un suo cammino conoscitivo e non sviluppa un suo modo di pensare, a determinate importanti domande si darà delle risposte che non hanno alcun senso per la sua vita o prenderà le risposta che le vengono offerte come il fine della sua vita e questo non è insegnare.
Ritengo fondamentale che la risposta che si dà a una persona sia un insegnamento per tutti. Questo è un ideale, ma bisogna tendere a questo. Se uno mi chiede una risposta precisa, normalmente non rispondo perché tutto dipende dalle scelte di vita di ogni persona.
Elisabeth ci puoi ricordare qualcosa di Padre Larre che è importante per te?
Una cosa che mi ha molto colpito di lui e che mi ha molto interessato è che all’età di 77 anni, tre o quattro anni prima di morire, Padre Larre ha avuto la capacità di cambiare in modo concreto alcuni atteggiamenti nel suo modo di vivere.
Questo è avvenuto dopo una forte discussione che abbiamo avuto; lui aveva un brutto carattere, ma certamente anch’io l’ho.
In seguito a questo fatto ha accettato alcune cose che avevo detto ed è cambiato nel suo modo di essere.
Si è trattato di qualcosa di molto profondo e la sua capacità di cambiare alla sua età è qualcosa che mi ha molto colpito.
Essere capaci di cambiare è sempre una grande cosa.
Infatti, si può dire di voler cambiare, ma farlo è un’altra cosa; spesso si ricade nei propri errori e li si giustifica, nei propri schemi e ci si blocca.
Bisogna lasciar perdere il proprio comodo per poter cambiare e questo è difficile sempre, soprattutto poi quando si è anziani e stanchi come lo era lui.
Per ritornare all’insegnamento l’importanza di cambiare è valida anche a proposito di questo argomento.
Si può insegnare in un modo soddisfacente ed esserne soddisfatti e così si continua sempre allo stesso modo.
Si ripete, si ripete perché è facile, ma questo a un certo punto non ha più nulla a che fare con la nostra vita.
Ci si convince che questo è insegnare, ma gli altri iniziano a percepire che non è così e, continuando per questa strada, si diviene rigidi, ci si irrigidisce.
Padre Larre è sempre stato agile nel pensiero come nei movimenti muscolari. Quando gli veniva chiesto se faceva degli esercizi, ad esempio di Taiji, rispondeva di no e aggiungeva: “sono agile nel corpo, perché prima di tutto sono agile mentalmente”.
Certamente non è sempre così, ma è vero ciò che diceva. Nella danza, ad esempio, si è agili nel corpo se lo si è nel pensiero.
Bisogna lavorare per essere agili, flessuosi e vi sono alcune persone che sono agili, ma anche un po’ rigide.
Qual è il tuo interesse attuale?
Il mio interesse di oggi è sempre quello di fare testi che trattino i fondamenti della medicina cinese.
Ho terminato un libro che è appena uscito in Francia “Les 101 notions clés de la Medicine Chinoise” e il mio desiderio è quello di fare, per ognuna di queste nozioni, un libro che le approfondisca; ma ora devo prima terminare un dizionario francese sulla medicina cinese che ho iniziato quindici anni fa.
Qual è il prossimo libro che uscirà in Italia?
A ottobre uscirà presso la Jaka Book un mio libro di numerologia che secondo me è molto interessante conoscere.
Infatti l’uso dei numeri è importantissimo nella Cina tradizionale, perché, al di là del loro significato concreto, i numeri si arricchiscono di valori simbolici.
Così, negli scritti classici, questa dimensione simbolica appare come una chiave di lettura indispensabile per conoscere la cultura cinese o leggere i grandi testi che ne hanno fondato il pensiero; essa è indispensabile per meglio comprendere la medicina, il taoismo o Il Libro delle Mutazioni.
Fabrizia Berera, si è formata all’Istituto Ricci di Parigi, sotto la guida di Padre Larre e ha frequentato alcuni seminari della Scuola Europea di Agopuntura di Parigi, sotto la guida di Elisabeth Rochat; di entrambe ha tradotto e curato la pubblicazione dei testi editati in Italia.
Si occupa in modo particolare di filosofia cinese, soprattutto taoista, e delle basi teoriche della Medicina Tradizionale Cinese che insegna con corsi, conferenze e seminari.
Con il Padre Larre ha scritto La filosofia della Medicina Tradizionale Cinese, Jaca Book, (terza edizione 2007).
Nel 2007 Ideogrammi della salute, nel 2008 Le Cinque vie della dietetica cinese presso la Red edizioni.
È docente di filosofia taoista e di storia della Medicina Tradizionale Cines del Corso di Perfezionamento in Agopuntura press
la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi
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