Che danzare sia una facoltà che appartiene all’uomo e che gli permette di esprimersi e di vivere profondamente la sua corporeità è ormai cosa ovvia; che la danza possa uscire da schemi e strutture che hanno talvolta paralizzato una grande energia pulsionale ci fa intuire qualcosa in più;
che la danza possa divenire un mezzo di cura è un concetto affascinante, ma sicuramente non scontato.Eppure ci hanno provato.
Ci abbiamo provato.
Da alcuni anni: 10 – 20 - 50, ma pensando alle prime esperienze possiamo risalire all’indietro forse anche di 60 o 70 anni. E se vogliamo ampliare un po’ la visione possiamo dire che curarsi danzando è una pratica antica che affonda le sue radici nella dimensione del sacro. Lo sciamano danza, il rituale cura, gli strumenti musicali evocano il battito cardiaco … è la visione di un mondo antico, “primitivo” che però sicuramente affascina ed evoca verità profonde.
Quando danziamo celebriamo la nostra esistenza, quando danziamo con consapevolezza diamo spazio e ritmo a sensazioni, emozioni, esperienze personali diverse.
La danzaterapia ci permette di portar fuori attraverso il movimento, anche piccolo e semplice, ciò che a volte rimane troppo chiuso, inespresso e compresso. “La danza terapeutica è la danza nella sua forma più semplice, il linguaggio delle emozioni profonde”, scrivevo 6 anni fa sul mio libro e 6 anni di esperienze in più riconfermano questa definizione. La riconfermano gli occhi intensi di utenti che … ci hanno provato. Ci abbiamo provato dunque. Con chi? Con tutti. Bambini, adolescenti, persone con disagio anche grave, ciechi, sordi, pazienti psichiatrici, detenute, ma anche persone “normalmente nevrotiche”. Tutti possono danzare e con la danza stare meglio.
Ma quale danza?
Ma stare meglio come?
Domande, domande, teste cariche di pensieri, di dubbi, di perplessità, di panico, di ossessioni, di rabbia. “Teste- pensiero” e tanta sofferenza. Ma il canale non è verbale, non sempre quantomeno, il canale è la danza: “Se esistono idee, parole, ponti di collegamento tra le forme sensibili esse sono dentro ogni persona: l’importante è incontrare tale ponte”. Così dice Maria Fux, una veterana del campo: la sua danzaterapia è nata direttamente nei luoghi di sofferenza e quelle che ora sono “unità didattiche” consolidate del suo metodo erano in origine “ponti” nati per aiutare l’altro.
Ma “come”? “Come” è un delizioso avverbio interrogativo che però diviene alquanto ozioso se non lo si fa “scendere giù”. Dobbiamo fare esperienza del “come”, finché esso non scende giù e si congiunge profondamente col respiro.
“Come” se lo chiesero anche Trudy Shoop, I. Bartenieff, Anne Halprin, M. Whitehouse, M. Chace, M. Fux ed altre pioniere che prima ancora di elaborare i loro metodi fecero scendere il “come” dentro di loro, indagando sulla loro sofferenza e la loro vita per trovare poi un ponte per gli altri.
Scrive Trudy Shoop: “(con la danza) Ho cercato di dare corpo alle mie fantasie per poterle così dominare esteriorizzandole. Non si è più posseduti dai fantasmi, li si possiede! Non ero più prigioniera dell’angoscia. Avevo paura solo se necessario. E’ così io credo che ho trovato la salute grazie alla danza. E oggi so che questa esperienza personale mi ha spinta più tardi a danzare con degli psicotici”.
E così eccoci ai nostri tempi, non tanto lontani dal pionierismo se pensiamo che Maria Fux e Anne Halprin sono professionalmente attive e ancora danzano alla meravigliosa età di 80 anni!
Persone affette da tumore, aids, vivono e si curano nella comunità della Halprin in California, Trudy Shoop ha trascorso una vita intera come danzaterapeuta in ospedale psichiatrico.
Ognuna ha saputo utilizzare del proprio percorso personale di danza, di sofferenza e di indagine sulla sofferenza, quanto più potesse essere utile per incontrare l’altro creando un contatto. Contatto che nella danzaterapia non è mai invasione ma presenza. Contatto come attenzione e ascolto profondo di sé e dell’altro.
Ma allora “quale” danza? Le metodologie hanno riferimenti diversi: si può parlare di “expression primitive”, piuttosto che di “movimento creativo” o “rituale”, di “authentic movement”, etc.
Per ciò che mi riguarda la mia ricerca viene dallo studio della modern dance, della grande intuizione creativa che si è diffusa nell’epoca fra le due guerre in particolare in USA e in Germania, ma che deve molto alle grandi intuizioni di Isadora Duncan, che cercava una danza che fosse “espressione divina dell’essere umano”, una danza che fosse educazione, collegata alla nostra esperienza interiore e attraverso di essa alla natura.
Un rapido volo per raccontare di Ruth St. Denis, che a sua volta si definiva danzatrice sacra (“Io voglio danzare Dio!”), e che seppe attingere in Oriente l’essenza di una ricerca di qualità energetica eccezionale. E poi Martha Graham e la sua danza pulsionale, che nello yoga trovò il sentire profondo dell’energia primordiale; e Doris Humphrey coetanea di Martha anche lei inizialmente danzatrice della compagnia di Ruth St. Denis, che per prima scrisse un testo sul “come” fabbricare la danza. Doris e la sua teoria del “fall and recovery: caduta e recupero.
Ho colto a piene mani fall and recoverye l’ho portato in carcere: le detenute mi hanno dato la loro fiducia e il loro sorriso; l’ho portato ai pazienti psichiatrici ed abbiamo scoperto che: “quando uno cade e non ce la fa più a tornare su può tendere una mano all’aiuto dell’altro”; l’ho portato ai bambini nelle scuole, anche a quelli che
non parlano o vivono grandi disagi e li ho visti ridere, rotolare, risalire.
Queste sono state per me le basi per costruire una metodologia di danzaterapia che divenisse ponte tra oriente e occidente, che inglobasse in sé le qualità di una medicina profondamente psicosomatica come quella cinese e la creatività profonda del metodo di Maria Fux, passando dal lavoro con le emozioni e gli Elementi nella progressione del Chörten tibetano.
I 5 movimenti della Medicina Tradizionale Cinese divengono nella mia metodologia una danza che permette alle persone di riconoscersi nelle diverse qualità di movimento correlate al vissuto dell’uomo inserito nel Cielo/Terra. Il percorso con i 5 Elementi del Chorten tibetano fa sì che nelle dinamiche di Terra Acqua Fuoco Aria e Vuoto le persone possano esprimere qualità di Elementi che stanno dentro ognuno di noi. Dentro tutti. Perché nessuno è escluso da una danza che è molto più semplice della sua spiegazione.
Forse noi crescendo diventiamo complicati e rispecchiamo le cose semplici come complicate. Una volta un danzatore, durante una mia lezione di danza contemporanea, non riuscendo a compiere movimenti semplici ma evocativi mi chiese: “Ma non farai fare queste cose anche ai bambini?” “Ma certo!” risposi. “Ma … come”? “Me lo hanno insegnato loro!”.
Così è la danza … dentro e fuori di noi, alla ricerca di un centro ... ma questa è ancora un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta!
ELENA CERRUTO DMT APID
BIBLIOGRAFIA
E. Cerruto, A ritmo di cuore. La danza terapeutica, Xenia Ed.
M. Fux, Frammenti di vita, Dal Cerro Ed.
M. Muret, Arteterapia, Red Ed.
T. Shoop, Won’t you join the dance
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